La bici? No, grazie. Meglio il traffico caotico

di MADDALENA REBECCA

A Parigi, Vienna, Lubiana vanno letteralmente a ruba. E anche a Roma – nonostante la presenza dei sette colli costringa turisti e residenti a impegnativi e continui sali-scendi -, riscuotono un ottimo successo. A Trieste, invece, le biciclette pubbliche non se le fila nessuno. E non è un problema di prezzi bensì, probabilmente, di pigrizia. Fisica e mentale. Anche se offerte gratuitamente, infatti, le due ruote collettive qui restano al palo. Al punto che la prima iniziativa avviata per incentivare l’uso di mezzi alternativi alle macchine – l’accoppiata ”bici+auto” lanciata dall’Amt – verrà sospesa per mancanza di utenti a partire dal 1° agosto. Con buona pace dei tanti triestini che, dopo essersi lamentati per anni dell’assenza di progetti simili in città e aver salutato con entusiasmo la partenza del progetto sperimentale, anziché cogliere la palla al balzo, si sono tirati completamente indietro. IL FLOP Che il test ecologico di Amt si sia rivelato un vero fiasco lo dimostrano i numeri. In tre mesi di sperimentazione, da maggio a luglio, le dodici biciclette dotate di chiavetta anti-furto posizionate davanti ai parcheggi coperti di via Locchi e viale Sanzio sono state utilizzate appena da una dozzina di persone. «In base alle stime iniziali invece – spiega il direttore della spa Davide Fermo – ci saremmo attesi più o meno 60 utenti. La risposta della popolazione, quindi, è stata molto al di sotto delle aspettative e un po’ di delusione, indubbiamente, c’è». SERVIZIO SOSPESO Inevitabile, visti risultati così modesti, procedere alla sospensione del servizio. Il gioco, evidentemente, non vale la candela e le spese rischierebbero di essere di gran lunga superiori ai vantaggi finali. Anche perché se durante i tre mesi sperimentali il test è costato appena 1000 euro – pagati alla società ”C’entro in bici” che fornisce due ruote pubbliche in tutta Italia -, a regime la cifra richiesta per tenere in piedi un identico ”parco mezzi” salirà a 10 mila euro. «Sapevamo che, inizialmente, il progetto avrebbe potuto incontrare qualche difficoltà legata, da un lato, alle caratteristiche del nostro territorio, non pianeggiante come quello di Latisana o Monfalcone, dall’altro alle abitudini dei triestini, poco in confidenza con le due ruote. Prudenzialmente, quindi, abbiamo optato per il noleggio e non l’acquisto dei veicoli, ripromettendoci poi di tirare le somme a fine sperimentazione. A settembre, quando avremo anche altri dati sul servizio, prenderemo le decisioni. Vedremo insomma se riproporre la formula ”auto+bici”, magari con qualche nuovo accorgimento, o rinunciarvi del tutto». LA CONTRADDIZIONE E pensare che l’esperimento era partito sotto i migliori auspici. L’avvio era stato salutato infatti da commenti entusiastici, continue richieste di informazioni e osservazioni del tipo «era ora che qualcuno pensasse a dotare Trieste di bici pubbliche». Poi però, passato l’entusiasmo iniziale, gli estimatori della prima ora hanno finito per marcare visita, scegliendo di non approfittare dell’occasione che, a parole, tanti definivano imperdibile. PIGRIZIA «Questo insuccesso ci dispiace molto – commenta Stefano Cozzini , responsabile mobilità dell’associazione Ulisse che, da anni, lavora per promuovere lo sviluppo di una mobilità più sostenibile -. Del resto abbiamo notato già in altre occasioni come il triestino, di fronte all’opzione due ruote, tenda ad accampare scuse. Il famoso «no se pol» vale anche in questo campo. Non a caso la maggior parte di chi si muove in bici a Trieste non è originario di qui. Penso ai tanti studenti che vediamo in giro in bicletta: provengono quasi tutti dal Triveneto e sono mentalmente più abituati a muoversi con quel mezzo. Detto questo – continua Gozzini – noi stessi temevano che il servizio di Amt, così strutturato, non avrebbe ottenuto grandi risposte. Sono stati commessi infatti tre errori: collocare le bici in posizioni poco centrali, non mettere a disposizioni veicoli con il cambio (indispensabile per affrontare le salite) e rivolgersi solo agli automobilisti, tralasciando altri tipi di target, forse più sensibili all’argomento. L’idea quindi non va tralasciata, ma riproposta in modo più adeguato». LE PROPOSTE Il flop della formula ”auto+bici”, secondo le associazioni di pedoni e ciclisti, non deve quindi far gettare la spugna. «Al contrario – osserva Sergio Tremul , presidente di CamminaTrieste -. bisogna insistere di più e superare la pigrizia e le resistenze mentali dei triestini. Dobbiamo renderci conto tutti che così, con 160 mila auto e 80 mila motorini che circolano in città, non possiamo più andare avanti. Bisogna correre ai ripari per frenare il traffico diventato ormai insostenbile, magari prevedendo l’’integrazione ”bus+bici”». «La formula migliore per una città come Trieste – suggerisce ancora Cozzini – potrebbe essere quella del ”bike-sharing” (soluzione che prevede una serie di biciclette di proprietà comunale dislocate in diversi punti della città e utilizzabili previo abbonamento ndr), che consenta per esempio a chi arriva a Trieste in treno di raggiungere il centro». BIKE-SHARING «Quella del bike-sharing è una delle ipotesi che stiamo esaminando – spiega l’assessore allo Sviluppo Economico Paolo Rovis , convinto della necessità di tentare altre strade per incentivare l’uso delle due ruote -. Ha però costi di gestione piuttosto elevati: oltre alle bici, infatti, bisogna pagare il personale che, di notte, vada a recuperare e smistare tutti i mezzi lasciati nei vari punti di raccolta. Per rendere sostenibile questa formula bisognerebbe trovare uno sponsor privato: un po’ come a Vienna dove tutte le bici pubbliche hanno il logo ”Visa”. In alternativa, potremmo pensare ad installare rastrelliere vicine ai parcheggi in superficie del centro, per esempio sulle Rive o in piazza della Borsa, a disposizione sia dei residenti sia dei turisti. In ogni caso – conclude Rovis – insisteremo su questa strada. Conosciamo infatti i triestini e sappiamo quanto le novità qui fatichino ad attecchire».